La comunicazione politica 2.0: Antonio Martusciello interviene sul tema della par condicio sul web

Sala Tessitori, Piazza Oberdan 5 - Trieste, 27 Marzo 2018

Intervento dell’On. Dott. Antonio Martusciello

Commissario Agcom

Premessa

Lo scorso novembre il Corecom Friuli Venezia Giulia promosse una interessante iniziativa la cui tema centrale, oggi più che mai, assume un importante significato.  Ci eravamo lasciati ponendoci una domanda: “Chi vincerà le elezioni: giornali, televisione o web?”.  Sarebbe facile rispondere che innanzi tutto è complicato capire quale parte politica abbia vinto le elezioni, ma rimanendo sui temi di nostra competenza proviamo a valutare, alla luce della recente campagna elettorale, qual è stato il peso che hanno avuto i differenti mezzi di comunicazione.

Iniziamo subito con qualche dato. Il recente Rapporto su “Il consumo di informazione e la comunicazione politica in campagna elettorale (pubblicato da Agcom nel febbraio 2018) mostra come la televisione rappresenti ancora il canale di comunicazione privilegiato dagli italiani.  Il 90% della popolazione vi accede per informarsi, mentre il 70% della popolazione utilizza anche internet come mezzo d’informazione.

Con specifico riferimento al ranking dei mezzi che vengono utilizzati per informarsi sui temi della politica, la televisione è indicata dal 50,5% degli italiani aventi diritto al voto, come il mezzo preferito per formare le scelte politico-elettorali, seguita al secondo posto nel ranking da Internet, privilegiata da una quota dal 34%.

All’interno di Internet è tuttavia utile distinguere il contributo delle singole fonti digitali, differenziando tra quelle algoritmiche e quelle editoriali. Difatti, secondo le analisi Agcom, il consumo informativo finalizzato alla creazione di opinioni politiche, passa in maniera prioritaria attraverso quelle fonti digitali governate da algoritmi (28%), piuttosto che attraverso i siti web dei quotidiani o altri siti di informazione online (8%)[1].

Venendo al dettaglio dei siti ascrivibili alle fonti online algoritmiche, riscuotono maggior successo i social network (15%), seguiti dai motori di ricerca (14%), mentre gli aggregatori di notizie e portali, come ad esempio Google News, sono utilizzati per specifici scopi di formazione dell’opinione di voto dal 7% degli individui.

I quotidiani, rappresentano il terzo mezzo più utilizzato per l’informazione politica, e sono utilizzati dal 24% dagli Italiani.

Polarizzazione e filter bubble.

La televisione rappresenta dunque ancora il primo mezzo d’informazione su base nazionale. Tuttavia questa evidenza statistica è stata posta in discussione da svariati commentatori politici in seguito ai risultati delle elezioni del 4 marzo.  Alcuni giornalisti si sono ad esempio domandati come mai nonostante una rilevante esposizione mediatica alcune forze politiche avessero conseguito un risulto poco soddisfacente in termini di consensi. Se consideriamo – ad esempio – il monitoraggio Agcom, come dato esemplificativo potremmo leggere il ranking dei primi dieci soggetti polico-istiuzionali misurati in base al tempo di parola di cui hanno goduto in tutti i telegiornali.  Questo ranking riferito all’ultimo mese di campagna elettorale ci offre la seguente classifica:

  • PD 33%
  • FI 23%
  • M5S 21%
  • Lega 10%

Se poi andiamo a considerare il ranking relativo ai programmi d’informazione, i primi due posti, misurati in base al tempo di parola, sono sempre appannaggio dei leader di quei partiti che hanno riscosso consensi inferiori alle aspettative.

Lungi dal voler attribuire al ranking una valenza scientifica di misurazione del consenso, è tuttavia lecito porsi una domanda: la più volte annunciata terza repubblica segna la fine dell’egemonia televisiva come strumento di coagulazione del consenso elettorale?  Può darsi che internet, anche con dei tassi di penetrazione inferiori alla televisione, abbia manifestato nella recente campagna elettorale una maggior capacità di persuasione degli elettori?

Per fugare questo dubbio un interessante profilo da esaminare è il legame tra i mezzi informativi utilizzati per determinare le proprie scelte politico-elettorali e il livello di polarizzazione ideologica.  Gli individui politicamente più attivi, e quindi più schierati anche dal punto di vista ideologico, ricorrono secondo le analisi Agcom, in maniera piuttosto ampia ad Internet come mezzo di comunicazione per informarsi sulle scelte politico-elettorali.

Dunque, le piattaforme governate da algoritmi sono molto più utilizzate dagli individui con elevato grado di polarizzazione ideologica rispetto alla media della popolazione italiana. Attraverso queste piattaforme si creano dinamiche che portano alla formazione delle c.d. echo chamber, caratterizzate da individui che discutono solo all’interno di una cerchia di persone vicine ideologicamente, con ricadute importanti sulle modalità di costruzione del dibattito pubblico.

Ne risulta un quadro in cui la polarizzazione opera già a livello di selezione del mezzo, poi cresce a seguito delle azioni compiute sui social network dagli utenti più attivi e diventa virale grazie alla potenza degli algoritmi che aumentano il livello di interazione sulla rete. La pervasività della rete favorisce così l’emergere di vere e proprie “bolle ideologiche”[2].

Queste echo chamber sono semplicemente la versione “politica” di un fenomeno purtroppo ben conosciuto in Internet descritto dalla teoria della “filter bubble”. Si tratta di una ‘bolla’ in cui gli utenti vedono solo notizie e opinioni con cui sono già d’accordo e in cui la capacità critica soprattutto ne può risultare appiattita.

Motori di ricerca, social network, portali, siti ci restituiscono, infatti, una realtà che è impostata secondo i criteri che noi stessi abbiamo, anche involontariamente, impostato attraverso le nostre ricerche, navigazioni, condivisioni su Internet. Il risultato è che questa realtà tende ad assomigliarci anche troppo e a non dirci nulla di quello che non conosciamo. Ne consegue che il cittadino-elettore tende ad avere un consumo di notizie provenienti da fonti a lui politicamente o socialmente affini, escludendo quindi una serie di informazioni più distanti, ma che potrebbero concorrere alla formazione di un’opinione critica sui fatti.

Tutto ciò è molto diverso dall’agenda setting dei media tradizionali, quello televisivo, ma anche quello dell’editoria cartacea. In un telegiornale o in giornale la selezione delle notizie, e la loro classificazione sono operate dalle redazioni e abbracciano tutti i temi dell’attualità e sono sottoposti ad uno stringente regime di responsabilità editoriale.

Ecco che in particolare, i social network hanno consentito, per la prima volta, l’ingresso nell’ecosistema informativo di fonti estranee al classico circuito dell’informazione: utenti comuni o siti di informazione non professionali.   Ed in questo nuovo contesto disintermediato – o meglio intermediato dagli algoritmi – che si forma un humus fertile per la crescita di fenomeni patologici dell’informazione come il dilagare delle fake news.

La selezione delle notizie svolta dagli algoritmi pone particolari problemi al regolatore, che in futuro si dovrà confrontare con un mondo di macchine connesse tra di loro (il c.d. IOT) oppure con un software in grado di influenzare la volontà degli individui.  Studi compiuti dall’Università di Oxford[3] e dalla Southern California, hanno dimostrato che i robot – ossia quei profili automatizzati intenti a diffondere contenuti propagandistici – possono essere efficacemente usati per creare engagement civico, per retwittare attivamente contenuti e far credere che ci sia un qualche tipo di consenso intorno a una questione o candidato.

L’alterazione del funzionamento dell’algoritmo è stata analizzata anche di recente da un’inchiesta del New York Times, pubblicata a fine gennaio. Questa ha evidenziato quella pratica attraverso cui vengono acquistate centinaia di migliaia di “seguaci” per far parlare di sé e garantirsi visibilità e che sagacemente la testata ha definito come The Follower Factory (ossia fabbrica di follower). Il rapporto afferma che sarebbero ascrivibili alla società Devumi almeno 3,5 milioni di profili automatici, molti dei quali sono venduti ripetutamente e che almeno 55.000 degli account “usino i nomi, le immagini del profilo, le città di origine e altri dettagli personali di veri utenti di Twitter, compresi i minori”.[4]

 Sulla vicenda, il Procuratore Capo dello Stato di New York ha aperto un’indagine. Tale notizia è circolata rapidamente su Twitter dove l’Attorney General, Eric Schneiderman, ha lapidariamente dichiarato: “L’impersonificazione e l’inganno sono illegali secondo la legge di New York. Stiamo aprendo un’inchiesta su Devumi e la sua apparente vendita di robot usando identità rubate[5].

 Una circostanza che dimostra come, dietro la crescente prevalenza di bot, si manifesti la progressiva scomparsa di voci reali, troppo spesso soffocate nella conversazione pubblica. La conseguenza è che l’influenza” conquistata sulle piattaforme social, sebbene apparente, sia in grado di alterare la formazione del consenso sociale[6]. Internet, nato come uno dei più grandi strumenti per la democrazia, oggi è sempre più trasformato – come ha rilevato opportunamente Schneiderman – in un “opaque, pay to play playground”.

Ebbene, in questo scenario i governi sono chiamati ad affrontare più concretamente il tema della regolazione dell’intelligenza artificiale, aspetto ormai già presente negli algoritmi di ricerca e di selezione delle notizie utilizzati dalle piattaforme di condivisione, ma– come abbiamo poc’anzi rilevato – anche nella creazione del consenso sociale.

Ecco che allora “Forse dovremmo fermarci tutti per un momento e concentrarci non solo su come rendere l’intelligenza artificiale più efficace, ma anche su come possa essere di beneficio per l’umanità”, riprendendo il monito del celeberrimo astrofisico scomparso di recente Steven Hawking.  “L’intelligenza artificiale potrebbe sviluppare una volontà tutta sua”, aveva detto Hawking. “L’ascesa della IA potrebbe essere la cosa peggiore o la cosa migliore che può accadere per l’umanità”.

 Le politiche europee di contrasto alle fake news

 Certo Steven Hawking era famoso per le sue profezie a tratti catastrofiche, ricordiamo quella secondo la quale la terra avrebbe non più 100 anni di vita e l’uomo per sopravvivere sarà obbligato a colonizzare altri pianeti.  Ma possiamo veramente prendere sotto gamba l’avvertimento di uno scienziato considerato tra i massimi geni del nostro tempo? I policy maker stanno affrontando il tema della regolazione di Internet con la necessaria incisività?

In verità da un punto di vista di produzione normativa siamo ancora lontani. L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il 25 gennaio 2017, ha approvato la risoluzione “I media e il giornalismo online: sfide e responsabilità”, al fine di raccomandare agli Stati membri, tra l’altro, di avviare, sia a livello nazionale sia in seno al Consiglio d’Europa, discussioni su norme e meccanismi necessari per prevenire il rischio di distorsione delle informazioni o manipolazioni dell’opinione pubblica attraverso i social media e altri siti online.

Ancora, la Risoluzione del Parlamento europeo sulle piattaforme e il mercato unico digitale del 15 giugno 2017 promuove, inter alia, condizioni di parità di accesso per gli utenti e le imprese che si avvalgono delle piattaforme online e, a tal fine, sottolinea l’importanza di garantire che la libertà di informazione e il pluralismo interno non subiscano limitazioni o manipolazioni significative attraverso utilizzi distorsivi e non trasparenti delle modalità distributive di contenuti su questi mezzi.

Sul tema anche la Commissione europea ha messo in campo alcune iniziative per definire la strategia europea nel contrasto alle fake news.

  1. La consultazione pubblica avviata lo scorso 13 novembre
  2. La costituzione di un High Level Group istituito per “consigliare” la Commissione sulle politiche da adottare per combattere la disinformazione on line.

La principale raccomandazione da realizzare, nel breve termine, secondo le indicazioni dell’High level Group si basa su un approccio di autoregolamentazione multi-stakeholder. Il suggerimento è di istituire una coalizione per garantire che eventuali misure concordate siano implementate mediante la redazione di un codice.   Nel medio periodo, l’High level Group invita poi gli Stati membri, le piattaforme, news media organisation e la società civile a porre in essere – insieme alla Commissione – ulteriori iniziative di contrasto alla disinformazione.

Il Commissario europeo Mariya Gabriel (Commissario per l’economia e la società digitale) ha accolto con favore la relazione e ha affermato che le raccomandazioni aiuteranno la Commissione a presentare “un numero di iniziative politiche per affrontare meglio i rischi posti dalla disinformazione diffusa online”.

Possiamo concludere che le politiche comunitarie di contrasto alla disinformazione online, sono ancora in una fase embrionale, caratterizzata dallo studio del fenomeno, piuttosto che dall’adozione di Direttive applicabili agli Stati Membri.

Le azioni Agcom: verso una par condicio 2.0

Se il quadro europeo non ci offre ad oggi norme di rango primario efficaci, va però sottolineato che su base nazionale la produzione normativa non sembra aver colmato questa lacuna. La legge che in Italia regola la parità di accesso alla comunicazione politica – la c.d. par condicio – è stata promulgata nel lontano 2000, quando Internet funzionava ancora nella sua versione 1.0.   Evidentemente mancano delle norme cogenti, ma non è comunque immaginabile rimanere inermi.

Per tale ragione, Agcom ha di recente istituito il Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza sulle piattaforme digitali. Questo organismo ha il compito di facilitare, promuovere e rafforzare il coordinamento tra gli attori economici e istituzionali operanti nel sistema dell’informazione online, favorendo lo scambio di dati, studi e buone pratiche.

L’iniziativa vede la partecipazione della quasi totalità degli stakeholder aderenti all’iniziativa, tra cui Google, Facebook, rappresentanti dei principali gruppi editoriali della stampa e radiotelevisione, le rispettive associazioni di categoria, nonché rappresentanti del mondo del giornalismo e della componente pubblicitaria.

Il Tavolo, che studia metodologie di prevenzione e rilevazione di contenuti online qualificabili come lesivi della correttezza, dell’imparzialità e del pluralismo dell’informazione, promuoverà, segnatamente nel corso delle campagne elettorali, la parità di trattamento e l’imparzialità a favore tutti i soggetti politici, nonché l’adozione di procedure di notice & take down di contenuti che dovessero essere lesivi del pluralismo.

In esito di questo percorso ci si auspica, l’adozione di codici di condotta, che ribadisco, in assenza di norme primarie, dovranno essere ascritti al campo della autoregolamentazione.

In tal senso, deve collocarsi la recente adozione delle Linee guida per la parità di accesso alle piattaforme online durante la campagna elettorale per le elezioni politiche 2018. Nell’ambito del Tavolo Tecnico, infatti, Agcom ha adottato un documento volto a identificare i principi generali che informano la par condicio elettorale e che, in quanto tali, sono applicabili a tutti i mezzi di informazione, comprese le piattaforme digitali.

I tratti salienti delle linee guida sono i seguenti:

  1. Garantire la parità di accesso: le società che gestiscono le piattaforme devono informare debitamente i soggetti politici circa gli strumenti di comunicazione che possono mettere a loro disposizione offrendo loro pari opportunità.
  2. Trasparenza dei messaggi pubblicitari elettorali. La riconoscibilità del messaggio pubblicitario è un principio cardine della disciplina delle comunicazioni commerciali, anche online l’inserzionista e bene che la natura di “messaggio elettorale”, specificando, altresì, il soggetto politico committente.
  3. Contenuti illeciti la cui diffusione è vietata dalla legge. Il divieto di trasmissione di contenuti illeciti o gravemente lesivi della persona e della dignità umana è anche un principio generale a cui i media si devono conformare ed è stato esteso anche alle piattaforme online.
  4. Silenzio elettorale e diffusione dei sondaggi. È auspicabile che anche sulle piattaforme nei due giorni precedenti le votazioni non vi sia, da parte dei soggetti politici, alcuna forma di propaganda e che sia rispettato anche dagli OTT il divieto di pubblicazione dei sondaggi nei 15 giorni antecedenti il voto.
  1. Il divieto di comunicazione istituzionale nei periodi elettorali si applica in tout court ai canali Internet ed anche la Presidenza del Consiglio ha inviato alle amministrazioni una richiesta in tal senso.

 

Conclusioni

 Gli Internet-scettici, sostengono che i mezzi classici abbiano ancora un peso influente nelle campagne elettorali e i social siano una bolla in grado solo di generare solo un consenso effimero e di breve periodo.  Se però una campagna elettorale dura in media 60 giorni il breve periodo è ahimè sufficiente…

Del resto le ricerche scientifiche di Agcom redatte sulla base di parametri oggettivi e non sull’onda emotiva delle urne, confermano che la televisione è ancora il mezzo con la maggiore valenza informativa, sia per frequenza di utilizzo, sia per l’attendibilità percepita delle fonti che è poi lo stesso punto di forza della carta stampata.  Sarebbe a dire che, nell’epoca delle fake news, i mezzi classici godono ancora di una autorevolezza che non viene riconosciuta alla Rete. Ciò non di meno, l’impatto informativo di Internet è in crescita e sempre più persone lo utilizzano anche per reperirvi informazioni.

Un recente documentario prodotto da SKY TG 24 si intitola “Lo Stato social” e supporta la tesi che le elezioni politiche del 2018 in Italia siano state vinte grazie al contributo dei social network.  Se vogliamo nulla di nuovo sotto il sole. Proprio in questa sede lo scorso novembre commentammo come questo trend sia esploso con la campagna presidenziale degli Stati Uniti del 2016, tra Donald Trump e Hillary Clinton, per poi propagarsi in Europa nelle tornate elettorali di Francia e Germania.

Ma le nostre considerazioni di allora assumono un carattere più inquietante alla luce recente scandalo che ha coinvolto la società di analisi politiche Cambridge Analytica e Facebook. Secondo l’inchiesta condotta dal New York Times e del Guardian, attraverso il social network, la società avrebbe raccolto dati personali di oltre 50 milioni di utenti che sono stati utilizzati per svolgere una comunicazione politica basata su profili personalizzati nelle campagne elettorali relative alle presidenziali americane e al referendum sulla Brexit.

I dati sono stati raccolti senza il consenso degli interessati attraverso un’app (This-is-your-digital-life) che fungeva da cavallo di Troia e sono stati oggetto di compravendita contravvenendo alle regole del social network. La facilità con cui sono stati raccolti questi dati è a dir poco allarmante, poiché secondo la ricostruzione dei giornali, sono stati sufficienti 270.000 download per raccogliere informazioni su milioni di utenti del tutto ignari. Non si tratta dunque di un fenomeno tipico di pubblicità profilata su internet – fattispecie ormai sdoganata – quanto piuttosto di un commercio di dati, raccolti illegalmente e usati per condizionale l’esito di elezioni democratiche.

Un meccanismo perverso quello realizzato: prima il microtargeting, ossia la possibilità di ricavare profili psicologici molto precisi degli utenti, poi un contenuto costruito su misura per ciascun utente.  Sulla vicenda, Zuckemberg, intervenuto dopo alcuni giorni di silenzio, ha dapprima affidato le sue dichiarazioni a un lungo post pubblicato sul suo profilo Facebook, per poi acquistare spazio su giornali britannici e statunitensi[7] dove ha pubblicato una lettera di scuse rivolta agli users della piattaforma. “Abbiamo la responsabilità di proteggere le informazioni. Se non possiamo, non lo meritiamo”, ha reso noto il CEO nel suo comunicato. Nulla di strano. La più grande rete di social media al mondo viene sottoposta a controllo crescente da parte del governo in Europa e negli Stati Uniti e sta cercando di riparare la sua reputazione tra utenti, inserzionisti, legislatori e investitori.  Un recente sondaggio online condotto da Reuters-Ipsos[8] e pubblicato il 25 marzo ha rilevato che, dopo lo scandalo, solo il 41% degli americani manifesta ancora fiducia nel social, a fronte del 66% mostrato per Amazon, il 62% per Google, il 60% di Microsoft. Un dato in linea con il recente calo in borsa di Facebook, le cui azioni, la scorsa settimana, sono crollate del 14%.

Alla luce di tutto ciò mi sembra chiaro che la risposta al tema del convegno sia di tipo affermativo: SI! È necessaria una par condicio in rete. L’istituzione del Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza sulle piattaforme digitali da parte di Agcom va in questa direzione, ma altri passi vanno compiuti.

Il contributo dei Corecom in questo campo può essere strategico, infatti per affrontare il tema complesso dell’informazione politica tra mezzi classici e nuovi media è necessario uno sforzo corale da parte di tutte le autorità di vigilanza. E i Corecom godono di un vantaggio competitivo legato al rapporto con il territorio, nonché di una flessibilità gestionale che gli consente da sempre di abbracciare le materie di frontiera, ricordo gli studi pioneristici sul cyberbullismo.

È necessario comunque un intervento di rango primario e il Consiglio dell’Autorità ha richiesto alla Direzione Contenuti, di cui oggi abbiamo in rappresentanza il Direttore, di redigere un report sull’andamento della comunicazione politica durante la recente campagna elettorale.  Questo lavoro potrà costituire la base per una segnalazione al Governo, finalizzata ad attualizzare la legge sulla par condicio in funzione del mondo della comunicazione online.

 Il tutto con l’auspicio di sconfessare la fosca previsione di Steven Hawking di una dittatura delle macchine!

[1] La somma di 28% e 8% non quadra con il 34% poiché c’è un’area di sovrapposizione di persone che si rivolgono ad entrambe le fonti.

[2] Cfr. pag 21, del Rapporto “Il consumo di informazione e la comunicazione politica in campagna elettorale” (Agcom 2018)

[3] Cfr. http://comprop.oii.ox.ac.uk/

[4] http://www.bbc.com/news/world-us-canada-42853067

[5] “Impersonation and deception are illegal under New York law. We’re opening an investigation into Devumi and its apparent sale of bots using stolen identities” (https://twitter.com/AGSchneiderman/status/957289783490957312).

[6] “The growing prevalence of bots means that real voices are too often drowned out in our public conversation. Those who can pay the most for followers can buy their way to apparent influence” (https://twitter.com/AGSchneiderman/status/957290420077199362).

[7] The Observer, The UK Sunday Times, Mail on Sunday, Sunday Mirror, Sunday Express e Sunday Telegraph, insieme ai giornali americani The New York Times, Washington Post e Wall Street Journal.

[8] http://fingfx.thomsonreuters.com/gfx/rngs/USA-FACEBOOK-POLL/0100619Q2QB/2018%20Reuters%20Tracking%20-%20Facebook%20Use%20and%20Privacy%203%2023%2018.pdf

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